La mia patria
Ora Rigosa è la mia patria, vicino a Pachino, il Promontorio di Sicilia, a 27 gradi di latitudine nell’emisfero Boreale, e a gradi 39 in longitudine dalle Canarie, sotto la Contea della città di Modica (che è incassata in una profonda valle ed è circondata da tutti i lati da enormi rocce). A 12 miglia di distanza a sud l’antica città di Camerina (di cui Rigosa è da considerarsi una colonia, arricchita di vasti e fertilissimi campi fino al mare), ha ancora le sue fondamenta sul litorale marino.
Rigosa si erge fiera, abbarbicata a una Montagnola: ma circondata da tre rilievi più elevati, cede in altezza e, per questo, è lambita attraverso tre convalli da ricchi ruscelli di acque dolcissime scaturenti da alte e rocciose sorgenti.
Inoltre, tra platani fronzuti, ad oriente scorre il fiume Irminio, da nord a sud, attraverso campi irrigui ricchissimi di noci. Tanto che per questo non a torto gli antichi la chiamarono Rivosa, o Rigosa, per lode. Nonostante oggi per la corruzione del vocabolo da parte del popolo questo stesso sito venga denominato Ragiosa.
E poi c’è casa mia nella quale nacqui il giorno in cui il sole risplendeva al 23° grado dell’Ariete e la Luna era sotto il primo decano dei Pesci; Saturno occupando la parte mezzana della Vergine, era in trigono a Giove; il primo decano dell’arciere usciva dalla sommità dell’Oriente.
Giace casa mia tra ameni orti coltivati, ma in quella delle tre convalli che guarda a sud strettissima in quanto circondata dai rilievi di due montagne, onde dall’alba al tramonto potevo osservare a stento la terza parte dell’emisfero celeste. Si consideri che al mattino il sole splendeva sulla mia casa solo verso mezzogiorno e non appena arrivava il vespro subito dopo si inabissava.
Perciò accadeva molto spesso che quando c’era un qualche fenomeno lunare da osservare al mattino o alla sera, ero costretto a salire sulla Montagnola al di sopra di casa mia per vederlo.
Si pensi infatti che ero preso da un tale desiderio di vedere i fenomeni celesti che trascorrevo quante più notti possibile in cima alla Montagnola in solitudine.
In epoca successiva, oppresso da tali scomodità, decisi di trasferire la mia residenza in un luogo più elevato.
In quel tempo, mi era capitato di leggere i commentari di Agostino Nifo sui libri di Aristotele a riguardo dei fenomeni atmosferici, soprattutto dove si parla a lungo della generazione delle comete: grazie a questa riflessione su tanti prodigi del cielo, fui travolto in un certo senso in modo inconsueto dal desiderio di vedere le comete, in maniera tale che cominciavo a prendere in considerazione la specifica idoneità del luogo di osservazione: così che se, per caso, di seguito una qualche cometa avesse brillato nel cielo, le mie esplorazioni non sarebbe state impedite.
Scelsi, quindi, l’edicola della torre della Chiesa di San Nicola, quasi alla sommità del paese, la cui fornicula a volta, nello stesso campanile, guardava dall’alto l’orizzonte orientale, esattamente e senza ostacoli da alcuna parte.
Era l’anno del Signore 1618, si svolgeva il mese di giugno, quando cominciai ad abitare lì da solo, una volta che mi ero attrezzato uno studiolo. Quella stessa estate per di più dormivo con la porticina dell’edicola ad Oriente aperta, spessissimo perlustrando il cielo.
Delle mie esperienze osservative precedenti che ormai compievo da anni conservavo comunque piacevoli memorie: ricordo, ad es., quando all’alba, una volta, poco più che ragazzo, attraversando la vigna con i miei fratelli, rimanemmo tutti incantati da Venere nascente, e ne contemplammo la dolcezza del suo aspetto. Ma all’improvviso loro proruppero in un’esclamazione: non hai visto, non hai visto una sorta di perturbazione dell’astro? Che cosa hai notato? L’impressione di tutti era che avessimo assistito a un fenomeno straordinario.
E, dopo, ci domandammo come fosse possibile un altro fatto che avevamo rilevato: Venere era andata all’indietro rispetto al movimento diurno!
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Il brano “La mia patria” è tratto da De systemate orbis cometici (1654)
L’ultimo paragrafo è liberamente tratto da Thaumanthias Iunonis Nuntia (1647)