Il signore della buonanotte
Da un letto lontano lontano con tutta la migliore sestessa
Buonanotte gli augurava.
C’era la luna?
Oh si la luna e anche le mille stelle, più fronde degli
alberi e le addormentate acque, con tutto tutto buonanotte gli augurava.
E il signore sentiva?
Si, il signore piano piano sentiva, mentre si addormentava.
Vivian Lamarque, Il signore d’oro
La poesia usata come incipit ci dice che qualcuno c’è nella notte, la notte con la luna e mille stelle. Qualcuno a cui rivolgere un pensiero, qualcuno che ci accompagni nella zona oscura dei sentimenti di abbandono e solitudine. Non siamo soli in quanto un pensiero, una persona, una divinità ci accompagnano.
La notte con il suo cielo stellato meraviglioso e inquietante ci pone il quesito dell’attesa e dell’inconoscibile.
La notte è una dea dalle ali nere, fu amata dal Vento e depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità, da cui nacque Eros che mise in moto l’Universo.
Durante il giorno le stelle ci sono ma, non si vedono. Il sole le offusca; ci dà energia e rende sature tutte le immagini delle cose, delle persone e della natura.
Notte e giorno ci rendono vivi, restituiscono l’alternanza del tempo, del desiderio, della vita emozionale e affettiva.
Durante la notte si aspetta l’amato, si cerca il dionisiaco, si fanno le baruffe, si creano opere d’arte, e si guarda il cielo per vedere quanto é buio o quanto la luna lo illumina.
Chissà cosa ha pensato l’Homo Sapiens Sapiens che si alzò sulle gambe e, smettendo di utilizzare il naso come organo primario, si vide rispecchiato, attraverso gli occhi che assunsero un altro vertice di osservazione, quel manto stellato che sembra bucare il cielo notturno. Cosa ha pensato quell’uomo agli albori della civiltà? Cosa c’era di “altro”? E così l’Homo Sapiens Sapiens diviene Homo Religiosus in quanto cominciò a rappresentare con la sepoltura la presenza dell’anima, a coltivare la credenza in qualcosa di misterioso. Egli intuisce la dimensione sacra dell’esistenza. Lo abbiamo potuto vedere attraverso le scoperte paleolitiche, i disegni nelle caverne che rappresentano la caccia a bestie enormi, le lotte e i sacrifici (quindi al buio e non alla luce). Ma non è cambiato molto se negli anni novanta Spielberg in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” pone durante la notte l’incontro tra gli alieni e l’umano.
Quante volte da bambini o da ragazzi si è stati con naso all’insù a guardare cadere le stelle a cercare di avvicinarsi al mistero dell’esistenza attraverso lo sguardo sulla Via Lattea che fu creata, come ci racconta il mito, dal latte di Era fuoriuscito dal suo seno allattando Ercole. Un altro racconto mitico ci arriva da Diodoro Siculo riferendo che quando Fetonte non fu più in grado di tenere le redini del carro solare, i cavalli di Helios cambiarono il percorso abituale ed attraversarono i cieli incendiandoli e formando la Via Lattea. Da allora è la strada percorsa dagli dei per arrivare alla reggia, all’Olimpo.
E che dire del regalo di nozze di Artemide a Kore che consisteva in un mantello di stelle che rappresentava tutte le costellazioni conosciute già al tempo immemore come aggregazioni di stelle i cui movimenti fissi riconoscibili erano regolatori degli stati d’animo degli uomini?
La dimensione sacra dell’essere umano era declinata dal racconto mitico degli dei, dal rapporto inevitabile con la Notte Oscura.
San Giovanni della Croce intitola la sua mistica all’esperienza sacra della conoscenza dell’anima attraverso la passione fisica ed intellettuale vissuta “in una notte oscura”.
Eppure oggi l’uomo moderno, attanagliato da paure primordiali, illumina sempre di più città con luci accecanti che tentano di eliminare la notte, foriera di paure piuttosto che di pace e di tranquillità per gli animi.
E’ durante la notte e durante il sonno che si fanno i sogni i quali aprono strade fantasiose e bizzarre che nutrono l’animo umano.
La luce delle città di notte è l’equivalente del frastuono, del lampo costantemente presente, impedisce di fare la differenza tra giorno e notte, tra prima e dopo. La creazione di “soli” artificiali offuscano la fantasia e l’immaginazione. Il “monumento” così bene illuminato diventa la stella da guardare, il riferimento molto vicino; il nostro naso si sta abbassando seguendo lo sguardo ormai fisso sull’orizzonte proposto dai cellulari. Infatti il punto focale si è posizionato sulla terra, sulle città, sui monumenti in nome di una bellezza che invece splende già di per sé durante il giorno.
Dove sono finiti tutti i “Palomar”, il personaggio di Italo Calvino alla ricerca della sua dimensione esistenziale, che sulla spiaggia, munito di una mappa stellare é tormentato nel cercare di vedere e riconoscere le costellazioni in una notte limpida? Palomar non riesce a conciliare la sua miopia con lettura della mappa, la luce della torcia offusca la vista del cielo ma gli fa leggere la mappa, in quel tormento tragicomico che qualsiasi astrofilo sperimenta: trovare la giusta misura per osservare, di mettere gli occhiali per vedere lontano e toglierli per vedere vicino, di accendere la torcia per leggere e di spegnerla per guardare il cielo cercando le stelle.
Quel tormento appartiene alla ricerca filosofica e scientifica in relazione a sé stessi, misurando limiti e difficoltà da superare.
Paulo Coelho nell’Alchimista ci racconta la storia di un giovane, Santiago, che vuol diventare alchimista e che incontra il “maestro” nel deserto di notte, il quale sta in assoluto silenzio. Il silenzio, il buio, il deserto e l’incontro rappresentano l’esperienza fondante della formazione sentimentale del giovane che in tal modo diviene sé stesso.
La notte non ci parla più con il linguaggio comune del mistero.
Oggi nessuno fa caso che quando, anche le notizie meteo ci dicono “che il sole sorge” non usa un linguaggio scientifico ma un linguaggio fattuale. Il linguaggio scientifico dovrebbe affermare “che la terra compie la sua rivoluzione su sé stessa e che il sole ci illuminerà a tal ora….”, invece accettiamo la descrizione non scientifica in quanto riguarda il senso comune, quel senso per cui tutti ci intendiamo su qualcosa.
Allora mi chiedo cosa stiamo cercando di “offuscare” con tutta questa luce di notte nelle città. A quale linguaggio falsamente scientifico diamo retta? Paure primordiali di estinzione, di pericolo? Oppure stiamo cercando di allungare il giorno sempre più producendo estensioni della vita sociale in momenti notturni?
Sono più propensa a pensare che socialmente stiamo favorendo un pensiero concreto piuttosto che una ricerca intorno alle cose sconosciute che fanno paura ma che potrebbero anche meravigliarci.
Zeus chiese di prolungare la notte per tre giorni per poter concepire Ercole. Generare un dio non è cosa da poco, ci vuole tempo e notte, buio.
Se da una parte l’uomo tenta di andare su Marte, dall’altra é sempre più evidente che illuminando a dismisura la notte si nega la funzione della curiosità e della conseguente creatività circa sé stessi e il gruppo sociale a cui apparteniamo.
Annapaola Giannelli