Il Colombo del cosmo: a 60 anni dall’impresa di Gagarin
Il 12 aprile di sessant’anni fa l’umanità arrivava per la prima volta nello spazio con il volo del cosmonauta sovietico Jury Gagarin che a bordo della Vostok 1 compì un’intera orbita ellittica intorno al nostro pianeta con apogeo e perigeo rispettivamente di 302 e 175 km ed una velocità di poco superiore ai 27mila km/h.
Al di là degli aspetti squisitamente propagandistici sfruttati dal regime sovietico per dimostrare al mondo la superiorità tecnologica del modello comunista, l’impresa di Gagarin aprì di fatto la corsa allo spazio e permise all’uomo di varcare uno dei pochi confini, all’epoca, ancora inviolati inaugurando così l’epopea che ancora oggi ci troviamo a vivere e che ha portato l’uomo, in poco più di mezzo secolo, a raggiungere la Luna sognando (ma potremmo più correttamente dire “progettando”) la conquista di Marte.
Celebriamo dunque il Colombo del cosmo ripercorrendo le tappe della sua breve ma decisamente intensa vita.
Jury Gagarin nasce a Klusino, nella regione di Smolensk, a circa 400 chilometri ad ovest di Mosca, il 9 marzo del 1934 in una famiglia di contadini e terzo di quattro figli. Soffrì con l’intera famiglia l’invasione nazista dell’Unione Sovietica e solo al termine della guerra poté continuare i propri studi. Fino al 1955 il giovane Gagarin lavorò come marinaio sul Volga, per pagarsi gli studi, iniziò l’apprendistato da fonditore e conseguì il diploma di metalmeccanico. Furono questi gli anni in cui iniziò ad appassionarsi al mondo del volo iscrivendosi con altri amici ad un locale aeroclub dove imparò a pilotare un piccolo biplano. Non furono anni semplici e Jury dovette fare importanti sacrifici per raggiungere gli obiettivi che, con ferma volontà, si era posto, tanto nel lavoro quanto nella sua passione per il volo. Tanti sforzi vennero però coronati dall’importante risultato dell’ammissione, nel 1955, alla Scuola Militare di Volo di Orenburg dove si abilitò alla guida del MIG-15 conseguendo due anni dopo il grado di Luogotenente delle forze aeree sovietiche.
Deciso e fortemente determinato a migliorarsi come pilota chiese ed ottenne, al termine del corso, di essere assegnato alla flotta del Nord, prestando servizio nel difficile contesto del confine norvegese nella regione di Murmansk dove le costantemente difficili condizioni metereologiche lo fecero progredire nelle sue abilità facendogli conquistare la stima ed il rispetto di superiori e colleghi. Il servizio in quel difficile contesto gli fruttò la promozione al grado di Primo Tenente. Negli ultimi mesi del 1956 iniziò, insieme ad altri piloti militari, le selezioni per il programma Vostok. Dei 154 aspiranti inizialmente presentatisi solo 29 candidati superarono le visite mediche ma il percorso era solo all’inizio.
L’iter per selezionare i primi esseri umani idonei a viaggiare al di fuori dell’atmosfera terrestre fu durissimo e gli aspiranti cosmonauti furono sottoposti a severi test fisici e psicologici (tra cui la permanenza per 15 giorni in completo isolamento all’interno di una camera anecoica) al termine dei quali solamente in sei vennero nominati “piloti cosmonauti” e da quel momento si avviarono ulteriori selezioni per individuare il pilota titolare e la riserva per il primo volo umano nello spazio con il programma Vostok 1. L’8 aprile del 1961 Gagarin fu nominato pilota titolare. Sarebbe toccata dunque a lui la storica responsabilità di rappresentare l’intero genere umano volando per la prima volta nella storia nello spazio.
Alle 9.07 ora di Mosca del 12 aprile 1961 Gagarin decollò dal cosmodromo di Baijkonur nel bel mezzo delle steppe dell’odierno Kazakistan pronunciando la famosa frase “Pojéchali! Andiamo!” al momento del lancio. Durante la missione la capsula con all’interno Gagarin completò un’intera orbita ellittica intorno alla Terra in 108 minuti di volo ad una quota media di circa 240 km e viaggiando a poco più di 27mila km/h. Durante la permanenza nello spazio Gagarin descrisse la Terra dicendo: «Il cielo è molto nero, la Terra è azzurra. Tutto può essere visto molto chiaramente» e, contrariamente a quanti ancora oggi credono, non pronunciò mai la famosa frase “Non c’è nessun Dio quassù”. Tale affermazione, di cui non si trova alcun riscontro nelle trascrizioni delle comunicazioni radio tra la capsula e il centro di controllo a Terra, fu verosimilmente coniata ed indebitamente attribuita a Gagarin, dai vertici del regime comunista che in tal modo volevano legittimare, sulla base di osservazioni reali, l’ateismo di Stato che caratterizzava l’Unione Sovietica del tempo. Pare anzi che lo stesso Gagarin fosse stato battezzato in seno alla Chiesa ortodossa.
Terminato il periodo in orbita la Vostok1 iniziò le procedure di rientro atterrando alle 10.55 ora di Mosca nella regione di Saratov concludendo così la storica impresa che segnò l’inizio dell’avventura spaziale.
Al suo rientro sulla Terra Gagarin divenne ovviamente un eroe tanto da essere decorato quale Eroe dell’Unione Sovietica (la più alta onorificenza dell’epoca) e ricevere onori eccezionali non solo in Patria ma in tutto il mondo.
Successivamente si impegnò politicamente e venne letto deputato nel Soviet di Mosca senza tuttavia perdere di vista la propria carriera di pilota e cosmonauta tanto da essere assegnato quale pilota di riserva nella missione Soyuz 1 e titolare nella Soyuz3. Il destino tuttavia non aveva tra i suoi piani un ritorno di Gagarin nello spazio. Il 27 marzo 1968 infatti, all’età di soli 34 anni, morì precipitando con un MIG 15 durante in normale volo di addestramento. Non furono mai chiarite le cause dell’incidente nonostante la nomina, nel corso degli anni successivi di ben tre commissioni d’inchiesta che tuttavia non giunsero a conclusioni condivise e definitive.
Il corpo di Gagarin fu cremato e le ceneri vennero tumulate nella necropoli delle mura del Cremlino a Mosca a perenne pubblico ricordo dell’uomo che aprì la strada dell’umanità verso lo spazio.
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